Negli ultimi giorni è uscito su diverse testate il caso di una mamma “bullizzata” dal gruppo genitori della scuola, per un motivo alquanto assurdo:
Non aveva dato il permesso di fare fotografie e di postare online il volto della figlia.
Il caso
Il teatro di questo caso è una scuola elementare in provincia di Torino.
In vista del Natale era previsto un saggio dei bambini, uno dei consueti appuntamenti per le famiglie con bambini di quell’età.
La madre in questione ha deciso di non firmare il modulo per il consenso a fare foto a sua figlia, perché contraria alla conseguente diffusione online.
Grazie a questa decisione, molti genitori si sono visti negare il permesso di pubblicare foto e video della recita.
Non l’avessero mai fatto…
È partita una caccia con torce e forconi, composta da insulti di vario tipo, messaggi minatori, addirittura dispetti verso la povera figlia.
Il non poter condividere con i propri amici virtuali il saggio dei piccoli attori era diventato un motivo di rivoluzione, qualcosa per cui lottare con le unghie e con i denti, senza tener conto delle conseguenze.
La madre, alla fine, ha ceduto.
“…ho saputo che alcune bimbe non giocavano più con mia figlia, così ho ceduto. E ho firmato”
La riflessione
Le recite di Natale…
Si facevano una volta e si fanno ancora oggi. La differenza sta nel tipo di approccio che le famiglie hanno con l’evento.
Una volta il video veniva girato dai papà con la telecamera analogica gigante che tenevano in spalla a fatica, poggiandola per terra quando il fisico cominciava a cedere. Tali filmini, oggi probabilmente rovinati dagli anni in soffitta, diventano reperti fossili che le mamme tirano fuori quando parte la vena nostalgica.
Oggi le cose sono cambiate in maniera traumatica.
Come tutti ben sanno, una delle prerogative del mondo moderno è pubblicare costantemente sui social la propria vita, probabilmente a riprova del fatto che… Beh… si esiste.
Dico questo perché la maggior parte delle volte le cose che vengono pubblicate sui social sono tutt’altro che interessanti, anzi.
Prendere questo caso nello specifico: a quante persone, che non siano i genitori stessi o qualche parente, può seriamente interessare una recita scolastica delle elementari?
Oddio è vero che qualcuno può anche far partire un video di questo tipo, magari sperando in qualche colpo di scena memorabile. Ma la realtà è che spesso siamo noi che postiamo gli unici interessati a ciò che pubblichiamo.
Il problema è proprio la necessità di doler condividere costantemente, il bisogno vitale di sapere che tutte le persone che ci seguono possano vedere che la nostra vita è piena ed interessante.
Per questo, se ciò ci viene impedito, invochiamo nella nostra testa diritti fondamentali che in realtà non abbiamo.
“siamo in un paese democratico!!” “Posso fare quello che voglio!” “Libertè, fraternitè, non me ne frega niente di te!!”
La verità è che il rispetto primario della persona e della sua privacy, soprattutto se si tratta di minori, è sempre al primo posto.
Non possiamo obbligare una persona ad avere una identità online se non lo vuole. Non possiamo neanche pretendere di poter pubblicare, sempre e comunque, qualsiasi cosa, a discapito della privacy.
Non è un giudizio personale, lo dice il senso comune e lo dice la legge.
Parliamo del GDPR, per cui ho ampiamente scritto nel blog della mia azienda: il GDPR, o General Data Protection Regulation, è una normativa europea estremamente rigida, che prevede limiti nella condivisione di dati, nella loro archiviazione e nel loro utilizzo. Noi abbiamo indirizzato il nostro interesse verso le aziende, le prime interessate alle normative perché le prime che hanno ricevuto le salate multe previste.
Ma i risvolti sociali che ha portato questa nuova “patologia”, che potremmo definire di “oversharing”, sono da tenere in forte considerazione.
Il caso della mamma blogger, più blogger che mamma
Vorrei citare un altro caso recente che mi ha particolarmente colpito, quello di una madre americana, una delle classiche “Mommy blogger” che per prima ha avuto a che fare con le conseguenze di questo tipo di condivisione.
La figlia, di cui ha scritto online prima della nascita, durante la gravidanza e ampiamente anche dopo, è stata la prima vittima di questa generazione di genitori sempre connessi.
La bambina ha nove anni e ha ormai scoperto di avere una identità online creata interamente dalla madre, comprendente non solo di foto anche intime, ma di storie della sua infanzia che probabilmente preferirebbe tenere private (quando ha imparato ad usare il vasino, quando ha litigato con la migliore amica e compagna di classe…).
A scoperta fatta giustamente si è arrabbiata pretendendo che la madre cancellasse tutto.
“Non posso”
Questa è stata la risposta della madre, che ha ammesso di aver sempre saputo che ad un certo punto la figlia sarebbe andata da lei a chiedere spiegazioni.
Il punto è che non sembra interessarle, tanto che non ha intenzione di smettere di condividere episodi della vita della figlia né foto: “Promettere di non scrivere più di lei vorrebbe dire eliminare una parte vitale di me, che non è necessariamente una cosa buona per me o per lei”.
E ancora: “Mia figlia non ha chiesto di avere uno scrittore per una madre, ma è quello che sono. L’amputazione di parti della mia esperienza è offensiva nei confronti della nostra relazione quanto scrivere su di lei senza alcuna considerazione per i suoi sentimenti e la sua privacy.”
Il compromesso che hanno raggiunto è che la figlia sarà a conoscenza degli argomenti trattati da sua madre e potrà dire la sua, in più potrà selezionare le foto da pubblicare.
Che praticamente significa che la madre continuerà a fare della vita della figlia una carriera.
La donna che più dovrebbe tenere alla sua sicurezza è la prima a metterla alla mercé del pubblico del web, che come sappiamo tutto è il più crudele.
Una scelta che ha fatto discutere i più, ma che ha anche attirato pareri positivi.
Conclusioni
Abbiamo visto un cambio radicale nei rapporti e nelle comunicazioni grazie alla rete. Questo, se da un lato ha portato sicuramente enormi vantaggi, ha anche prodotto diverse problematiche.
È importante che le persone, come anche le aziende, capiscano l’importanza fondamentale dei dati personali e del proteggerli da coloro che ne hanno poca cura o vogliono utilizzarli a proprio piacimento.
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